In un precedente articolo vi abbiamo parlato di grotte dall’influsso positivo e rupi dal potere rigenerante, usate forse da monaci e santi per meditare e coltivare la propria spiritualità (VAI ALL’ARTICOLO ). Ma non tutte le voragini della terra nascondono vicende e leggende liete e positive; in questo articolo ci addentreremo proprio in tali oscure cavità. 

Le aperture della terra: inghiottitoi, voragini, pozzi, cunicoli sotterranei e antri oscuri nelle montagne, sono luoghi inaccessibili che hanno destato sempre il desiderio di penetrarvi per scoprire tesori nascosti.

Luoghi di paure, di fantasmi, di diavolerie, streghe, banditi e misteri. Erano siti temuti, irraggiungibili dalla gente comune che se ne teneva alla larga per non fare i conti con malefìci ma anche luoghi che hanno sempre acceso fantasie e credenze popolari da sempre radicate nelle menti degli abitanti dei paesi montani.

I toponimi più comuni attribuiti a questi luoghi erano: grotta delle streghe, del diavolo, dei tesori, dei ladri, dei banditi ecc…

Luoghi talvolta oggetto di culti di sette sataniche e sabba di streghe e diavolerie simili.

A Castel di Sangro, nel Vallone dell’Inferno su un versante del monte Arazzecca, esisteva la Grotta Verde (non corrispondente a quella che attualmente viene chiamata Grotta Verde), dove si rifugiò la strega sfuggita alla prigionia e al rogo descritta in antichi racconti. Era luogo impervio e difficile da raggiungere ed ora non esiste più perché distrutto durante la guerra con le mine tedesche.

Il monte Arazzecca – Castel di Sangro

A Capracotta, presso il monte San Nicola, esiste una grotta temuta a causa delle storie di fantasmi, streghe e diavoli che la circondano. Anni fa andammo a visitarla ma, perlustrando il monte, non riuscimmo a trovare l’ingresso. Incontrato un pastore di pecore lì nelle vicinanze, gli chiedemmo informazioni e lui affermò di conoscere l’accesso alla grotta, ma si rifiutò di accompagnarci sul posto, per timore delle streghe e dei diavoli che si diceva abitassero quell’antro. Rimanendo quindi a distanza di qualche centinaio di metri dalla nostra destinazione, ci indicò più a monte il punto esatto dove tra rocce ed alberi si nascondeva l’ingresso al terribile luogo. 

Finalmente riuscimmo ad entrare ed a “violare” quella cavità magica e misteriosa. Si scendeva in un budello scivoloso a causa dell’acqua e dell’umidità che ci accompagnò durante tutto il percorso. Alla luce delle torce avanzammo finché il passaggio non si restrinse e solo un amico di statura piccola ed esile (mingherlino) riuscì ad avanzare oltre nella strettoia. Noi gli scongiuravamo di fermarsi e tornare indietro ma lui proseguì ancora. 

Temevamo per l’amico, se fosse accaduto qualche imprevisto non avremmo potuto soccorrerlo, ma dopo qualche tempo lui tornò indietro e ci disse che era impossibile proseguire oltre nonostante la grotta avanzasse ancora nelle profondità della montagna, sempre più stretta. 

Quindi riguadagnammo di nuovo la luce e, infreddoliti e bagnati, tornammo dal pastore, che ci chiamava curioso ormai anch’egli di conoscere quali malefici avessimo incontrato nella grotta. Appena fatto il resoconto, che non vi erano né tesori, né tantomeno diavoli e fantasmi, il pastore si tranquillizzò e tutto contento disse che lo avrebbe riferito agli amici in paese per sfatare le dicerie che da troppo tempo avvolgevano il luogo ma per sicurezza, aggiunse, che lui comunque in quella cavità non ci sarebbe mai entrato.

L’aspro territorio montano dell’Alto Sangro

Salendo sui monti boscosi che fanno da corona al pantano di Montenero, c’è una voragine di 17 metri che scende nel ventre della montagna. Una volta, tanti anni fa, munito di funi  vi scesi a curiosare ed a pochi metri dall’ingresso rinvenni un piccolo teschio di capra.

Il teschio trovato nella grotta

Dopo qualche anno, un amico speleologo scese fino in fondo alla grotta. Il luogo era quasi inaccessibile a persone ed animali ma era presente uno scheletro di capra e questo ci fece pensare che il luogo fosse oggetto di incontri di persone dedite a far sabba di streghe ed altre diavolerie; anche perché notammo che al pantano non sono diffusi allevamenti di capre e pecore ma solo mucche e cavalli e quindi i reperti del capro rinvenuti sul luogo, potrebbero anche esser stati portati da altrove, per qualche scopo… chissà

Leggende, suggestioni, credenze popolari? O davvero, nelle profondità ignote che si aprono nell’aspra roccia del nostro Appennino, si celano forze oscure che non è saggio risvegliare?
Alla prossima.

— di Raffaele Buzzelli