Cogliendo l’occasione per porgervi i migliori auguri per le festività natalizie, vi proponiamo un articolo incentrato sulla ritualità e sulle tradizioni abruzzesi inerenti i cibi legati al Natale. In particolar modo focalizzeremo la nostra attenzione su due dolci, particolarissimi, e tipici dell’Alto Sangro: il capitone di Barrea e i susamielli di Castel di Sangro.

Nella tradizione abruzzese, la festività del Natale si svolgeva secondo riti antichissimi ed era ricca di simbolismo. Molte di queste tradizioni erano così remote tanto da affondare le proprie radici nel paganesimo e nella festa, di epoca romana, del solstizio d’inverno. Ne era un esempio la consuetudine di far ardere, in ogni casa abruzzese, il ceppo di Natale. La sacralità del ceppo derivava dall’originario culto del sole sostituito poi, con il Cristianesimo, dalla figura del Cristo.

Anche i cibi della tradizione abruzzese legata al Natale non facevano eccezione, essendo cibi rituali e, in alcuni casi, carichi di simbolismo.

Durante il pranzo della vigilia di Natale era consuetudine rispettare il digiuno, cioè si mangiava molto poco, in attesa della cena.

La cena della vigilia si svolgeva secondo una precisa ritualità che comprendeva anche il numero e la tipologia delle portate.

Si mangiava di magro, e la cena prevedeva nove portate, o sette in alcuni comuni. Il numero di nove portate non era casuale: è probabile che simboleggiasse i nove mesi di gestazione della Madonna. Sulla tavola non potevano mancare i fedelini: maccheroni sottilissimi, conditi con alici o sarde; verdura (cavolfiore, broccoli), zuppa di ceci o di fagioli; pesci e frutti di mare (principalmente baccalà e capitoni); fritture: soprattutto crespelle cioè pasta lievitata fritta nell’olio bollente; frutta fresca e secca (castagne, fichi secchi e noci). E infine i dolci.


I DOLCI

I dolci di Natale abruzzesi meriterebbero particolare attenzione data la loro varietà e le molteplici varianti. Ma trovandoci nell’impossibilità di elencarli tutti, ne faremo solo un brevissimo e sommario cenno, prima di parlare nello specifico dei due sopraccitati dolci dell’Alto Sangro.

Mentre il torrone era di rito quasi sempre solo sulle tavole dei ricchi, nella maggior parte delle case abruzzesi si preparavano, si mangiavano e si regalavano le ciambelle. Chiamate con nomi diversi (ciambelle, ciambellette, taralle…) e di dimensioni variabili a seconda dei paesi, erano dolci comuni in tutta la regione. Avevano sempre forma circolare, di serpe che si morde la coda, ed erano spesso ripiene di noci con mosto cotto, oppure di mandorle con mele e aromi.

Altri dolci molto diffusi erano i cagionetti (caggiunitti, calgiune, caveciune): dolci fritti e ripieni. Il ripieno poteva variare da zona a zona. Principalmente era costituito da amarena o cioccolata, oppure da ceci cotti e macinati, conditi con mele e spezie. Si pensa che questi dolci potessero avere un nesso simbolico con la calza della Befana riempita di doni.

Anche gli uccelletti erano dolci abbastanza comuni in Abruzzo sulla tavola di Natale. Anch’essi erano dolci ripieni, in genere farciti con noci e mosto cotto, oppure con marmellata d’uva o di fichi. Il nome, come si intuisce, derivava dalla forma, che riproduceva la sagoma di un uccellino.

Questi dolci, con le loro tante varianti e le modifiche dovute al mutare dei tempi, sono tutt’ora presenti sulle tavole abruzzesi.

Uccelletti – Nelle versioni più recenti, la sagoma degli uccelletti è ancor più stilizzata. Spesso si propende solo per una forma a mezzaluna

I SERPENTONI E IL CAPITONE DI BARREA

Prima di tramutarsi in un simbolo del male e di negatività, il serpente, presso molti popoli antichi, aveva un ruolo positivo poiché era legato all’anima e simboleggiava l’eternità. Non di rado, infatti, veniva rappresentato nei monumenti funebri.

I Marsi veneravano la dea Angizia, sorella di Medea, una maga dalla quale essi ritenevano di discendere e di aver appreso l’arte di incantare i serpenti. Leggende a parte, l’arte di maneggiare i serpenti sembra persistere ancora oggi. È il caso di Cocullo, piccolo ma famosissimo, paese marsicano, dove ogni anno rivive il rito dei serpari legato al culto popolare di San Domenico Abate.

Anche per i Greci e i Romani il serpente aveva carattere positivo, e veniva figurato come uno spirito tutelare che sopraintendeva alla casa, al bosco, alla montagna…

Foto di un Larario romano: tabernacolo per i Lari e i Penati a protezione della casa. In basso è raffigurato il serpente

L’antichissimo simbolo dell’ uroboro, il serpente che si morde la coda, era comune a molte civiltà del passato. Simboleggia l’eternità, l’infinito, la ciclicità: nel cerchio che esso descrive, ogni cosa inizia di nuovo dopo aver raggiunto la fine.

Rappresentazione di un uroboro nell’iconografia classica dell’alchimia

Il capitone di Barrea è un dolce di antica tradizione tutt’ora prodotto in paese. Esso ha la caratteristica forma di un capitone arrotolato su se stesso, forma che ricorda molto l’uroboro. Come del resto le ciambelle che si mangiavano e regalavano a Natale in gran parte d’Abruzzo.

Il ‘capitone’ di Barrea

Un altro tipico dolce abruzzese dalla forma simile è il “serpentone” prodotto a Fara Filiorum Petri. Viene preparato nel giorno di Sant’ Antonio Abate, il 17 gennaio. Un tempo veniva farcito con il sanguinaccio ottenuto dalla macellazione del maiale. Oggi si utilizza una diversa e più moderna farcitura a base di marmellata ma per non dilungarci troppo, torniamo al nostro capitone di Barrea.

È realizzato con un impasto a base di mandorle, farina, uova, zucchero, cannella e limone. Ha un ricco ripieno di amarena ed è ricoperto di cioccolato fondente.

Nel passato i capitoni erano regalati a Natale dalle fidanzate ai fidanzati, e spesso superavano per grandezza, anche di molto, quelli che si realizzano oggi.

Il dolce di Barrea, come quello di Fara Filiorum Petri, non è l’unico nel suo genere, essendo i serpentoni, e i capitoni, dolci tipici anche in altri paesi dell’Italia Centrale.

Sembrerebbe che le origini di questo genere di dolci siano molto remote, pagane, tenendo comunque presente che di certo ha subito delle variazioni e ha assunto varie simbologie con il passare dei secoli.

Principalmente, come nel caso di Barrea, sono dolci che la tradizione popolare lega al Natale. In Abruzzo, fino ad un non lontano passato, il Natale era un giorno ritenuto sacro, quasi magico, propizio per divinazioni e presagi, un giorno che rappresentava per i nostri avi anche il vero inizio del nuovo anno, considerando il Capodanno quasi solo un’appendice a questa festa.

Vogliamo ora ricordare che il 25 dicembre, prima del Cristianesimo e prima di essere festeggiato come il giorno della nascita di Gesù, era, nel calendario romano, il giorno in cui si celebrava il solstizio d’inverno.

Alla luce di quanto detto, il serpentone e il capitone assumerebbero un nuovo significato, riallacciandosi all’antichissimo simbolo dell’uroboro. Rappresenterebbero, quindi, la rigenerazione, la ciclicità, della Natura, dell’anno che termina per iniziare di nuovo.

I SUSAMIELLI DI CASTEL DI SANGRO

I susamielli (susamiélle) sono dolci tradizionali di Castel di Sangro ma di derivazione napoletana, dato che Castel di Sangro faceva parte del Regno di Napoli e aveva molti legami con questa città.

I susamielli hanno una tipica forma ad “S”, e sono legati principalmente al Natale.

Susamielli

Secondo l’antica ricetta, rimasta pressoché identica nella versione odierna, gli ingredienti base sono uova, farina, miele, zucchero, mandorle, cedro candito, strutto, cannella, ammonio bicarbonato. L’impasto ottenuto può essere modellato solo dopo un lungo riposo. In genere si lascia riposare una notte intera.

C’è da dire, inoltre, che per avere un miglior assortimento non è raro che ai susamielli possono essere date anche altre forme, come quella tonda o romboidale.

Un’antica tradizione prevedeva tra i dolci di Natale le fìcura rosate, fichi secchi ammorbiditi col vapore, e poi cotti nel miele ma più comunemente nel ggelèppe, arricchiti poi con mandorle e cedro candito.

Il ggelèppe, sostituto del miele, si otteneva facendo bollire a lungo lo zucchero nell’acqua, fino ad avere un liquido dolcissimo, sciropposo e filante. E pensate, questo termine dialettale deriva da una parola araba che significa appunto: acqua di rose.

Era usanza, non solo a Castel di Sangro ma anche a Pescocostanzo, preparare e offrire i fichi rosati in occasione della nascita di un bambino.

In effetti, come si evince da quanto detto su, questo dolce era strettamente legato ai parti e alle nascite. Compresa quella di Cristo. In paese infatti i fichi rosati del Natale erano conosciuti anche con il nome di “fichi di Gesù Bambino”.

A questo punto vi starete chiedendo cosa c’entrano i fichi rosati con i susamielli.

In paese, preparare i fichi rosati a Natale è una tradizione che è andata pian piano scomparendo, anche se permane ancora in qualche rara famiglia l’usanza di prepararli, invece, per festeggiare la nascita di un bambino.

I susamielli sono anch’essi molto dolci e presentano molti ingredienti in comune con i fichi rosati. A principiare dal miele. Non è escluso che, con il tempo, abbiano costituito un’alternativa ai fichi rosati e assunto la stessa funzionalità e simbologia per celebrare la nascita di Gesù.

In conclusione del nostro breve viaggio tra i dolci della tradizione del Natale, vi rinnoviamo i nostri auguri e vi diamo appuntamento al 2020, con nuove indagini, e nuovi argomenti, all’interno della Storia e dei misteri dell’Alto Sangro.

— di Concetta Rocci

Un sentito ringraziamento va ai fornai e pasticceri che ci hanno fornito informazioni utili e concesso l’utilizzo delle immagini dei loro prodotti artigianali per la realizzazione di questo articolo: Olga e Pasquale Riccio di Castel di Sangro per gli “uccelletti”; Marilena Musilli di Barrea per il “capitone”; Mario Ciarlante di Castel di Sangro per i “susamielli”.