Commedia (Paradiso, Canto XXXI) – Dante

La ‘Candida Rosa’, con questo simbolo Dante immaginava il luogo Celeste dove, nei suoi petali, dimoravano le anime dei più puri: santi e beati. Ma in luoghi a noi ben più vicini vi riposano i corpi, e Castel di Sangro ha ospitato ed ospita ancora le spoglie mortali di cinque di loro, che avevano vissuto una vita retta nella via religiosa che avevano abbracciato.

Le reliquie hanno da sempre costituito un importante emblema della spiritualità religiosa e laica. Sin dagli albori del Cristianesimo, si cominciarono a venerare i corpi o i frammenti delle spoglie di martiri cristiani, soprattutto da quando tale religione fu autorizzata e data la possibilità di seppellire santi e martiri nelle chiese, ma è nel medioevo che il culto delle reliquie assunse un’importanza tale che, le comunità che ne avessero posseduta una, avrebbero goduto di protezione divina tanto quanto di privilegi più terreni e materiali (e proprio in favore di questi ultimi che, in alcuni casi, si verificò un vero e proprio traffico di falsi).

La città di Castel di Sangro conserva molte reliquie ma cinque di queste sono i corpi interi di tre santi e due beati. Non tutte le sacre spoglie sono invero giunte fino a noi, di alcune si sono perse le tracce nel corso dei secoli, in un territorio segnato e trasformato da guerre e terremoti in un perenne ciclo di distruzioni e ricostruzioni.

Il nostro pellegrinaggio, alla ricerca di queste importanti reliquie, parte dalla Civita: la parte più antica del paese arroccata ai piedi del Colle di San Giovanni. Nella basilica di Santa Maria Assunta, localmente meglio nota come Chiesa Matrice, riposano infatti le spoglie di Santa Concordia Martire; esse sono poste all’interno dell’Altare Maggiore. Le cronache riportano che il corpo venne estratto dal cimitero di San Calepodio e concesso in dono da papa Clemente XI al principe di Santo Buono e duca di Castel di Sangro Nicola Caracciolo nel 1702 e questi poi lo donò, un anno dopo, alla chiesa di Santa Maria Assunta.

Per raggiungere la seconda tappa del nostro viaggio, ci apprestiamo a scendere le ripide scalinate di pietra che dalla piazza della Porta Grande giungono fino al palazzo del Principe ed ancora giù fino alla Piazza del Plebiscito, dove ad est si erge la chiesa di San Giovanni, un tempo appartenuta all’ordine dei Domenicani. Ancora una volta, all’interno della pietra marmorea dell’altare, una urna di cristallo protegge i resti di un santo: San Felice Martire. Il teschio e le ossa sono chiaramente visibili al pellegrino ma di esse purtroppo, al tempo in cui venne soppresso l’Ordine Domenicano (che in esso aveva cresciuto i più grandi inquisitori ma anche i più grandi eretici [cit. G. Carpeoro] ), si perse l’autentica e con essa ogni possibilità di ricostruire l’autenticità delle spoglie e come esse siano giunte fino a Castel di Sangro.

L’urna di cristallo che cela il corpo di San Felice Martire

Dalla chiesa di San Domenico, o San Giovanni che dir si voglia, continueremo verso nord fino a raggiungere la Codacchiola, l’antico quartiere basso, dove c’è la chiesa di San Nicola, che tante vicende misteriose ed uomini famosi ha ospitato e di cui già abbiamo parlato in occasione degli articoli su Celestino V e della strana sepoltura rinvenuta nelle sue vicinanze. Questa chiesa ospita infatti il corpo intero dell’ultimo dei santi che tratteremo, prima di parlar dei beati: Sant’Aurelio Martire. La storia “castellana” di questo santo comincia però in un luogo di culto ormai scomparso: l’Oratorio di San Vincenzo de’Paoli appartenuto alla famiglia Pitocco. Questo oratorio era anche comunemente conosciuto con il titolo di Oratorio di Sant’Aurelio, poiché pochi anni dopo la sua edificazione, e precisamente nel 1833, la Santa Sede donò a Don Salvatore Pitocco il corpo proprio di Sant’Aurelio, che venne estratto, e qui le cronache si confondono, dalle catacombe di San Callisto oppure dal cimitero di Sant’Ippolito sulla Tiburtina. Le ossa di tutto il corpo vennero quindi alloggiate in un’urna ricavata nel petto di una misteriosa statua, alla quale presto dedicheremo un articolo a sé, così da svelarne alcuni particolari interessanti. Con l’estinzione della famiglia Pitocco e la relativa dismissione dell’importante oratorio, la statua venne quindi successivamente spostata nella chiesa di San Nicola ed ancora oggi la si può ammirare nei particolari più misteriosi per carpirne i segreti celati oppure contemplare semplicemente con fede e spiritualità ciò che nel petto custodisce.

Ci avviciniamo quindi all’ultima tappa, volgendoci ad occidente ed attraversando il fiume Sangro per il Ponte della Maddalena, sino a giungere al Convento ad essa dedicato e proprio in quel luogo sono vissuti i due beati, Francesco da Ripa e Paolo da Ferrazzano, intorno al 1500 e, quando morirono, furono sepolti all’interno dell’area del convento.

Il meraviglioso frontespizio del De Origine Seraphicae – dove si narra dei due beati di Castel di Sangro

Francesco aveva origini molisane e, come indica il nome, veniva precisamente da Ripalimosani (vicino Campobasso). Morì molto giovane ed era ancora un chierico ma le cronache riportano il suo grande fervore mistico che ne avrebbe consumato precocemente il corpo ma elevato l’anima al punto che, quando spirò, il Cronistoria della riformata provincia di Sant’Angiolo in Puglia riporta “che calassero dall’Empireo più Angioli a pigliare il suo purissimo spirito, e presentarlo al Re della Maestà nella Reggia di Gloria”, riprendendo questo episodio direttamente dal De Origine Seraphicae Religionis Francescanae del Gonzaga. Nel testo si dice anche che quando la schiera angelica discese a prelevare l’anima del chierico, tutti i presenti restarono atterriti e stupefatti dalla luce di quella visione. Una esaltazione della figura del mistico? Oppure davvero, i frati del Convento della Maddalena, videro qualcosa di insolito quel triste giorno? Qualcosa che non hanno potuto interpretare in altro modo se non un segno divino?
Francesco da Ripa non fu tuttavia l’unico, tra coloro che abitavano il Convento della Maddalena, ad aver guadagnato la beatitudine.
Pietro da Ferrazzano era un laico ma aveva guadagnato ancora vivente il rispetto e la devozione che si concedono ad un sant’uomo. Il Gonzaga riporta che (traduzione del Catullo) “F. Pietro da Ferrazzano Laico che ancora vivente, per le sue inclite virtù meritò d’esser fatto degno di un soavissimo colloquio con Cristo Salvatore”.

Il chiostro del convento della Maddalena

Cosa intendeva il Gonzaga con “soavissimo colloquio con Cristo Salvatore”?
Fra Arcangelo da Montesarchio riporta solo che egli era dotato di “molta perfez(z)ione, e di santissima vita”, mentre Giovincenzo Ciarlanti descrive Pietro da Ferrazzano come dotato di rare virtù grazie alle quali, anche in vita, “fu degno di fare dolcissimi ragionamenti col suo amato Signore”.
Ancora una volta non ci è dato di sapere se quanto riportato dalle cronache era una semplice elevazione letteraria della vita di un importante personaggio, magari un filosofo, o se, prendendo i testi alla lettera, possiamo ipotizzare che Pietro da Ferrazzano potrebbe esser stato un fervente mistico. Tuttavia, per ora, non abbiamo ulteriori dettagli per svelare i particolari della vita di due dei più importanti personaggi che terminarono il proprio cammino terreno nel Convento della Maddalena  ma nel corso dell’indagine ci siamo imbattuti in alcuni libri che contengono informazioni, meritevoli di  ulteriori approfondimenti, poiché potrebbero essere utili a chiarire i punti oscuri che ad oggi avvolgono la datazione del convento al tempo dell’insediamento dei Minori Osservanti, quindi torneremo a parlarne a breve.

Di seguito riportiamo gli estratti dal Martirologio Francescano del 1638, dove vengono riportate anche le date di commemorazione dei due beati: 7 Settembre per Francesco della Ripa e 13 Dicembre per Pietro da Ferrazzano.

Il nostro pellegrinaggio si conclude qui, dopo aver visitato quattro importanti luoghi sacri e misteriosi che ospitano (o hanno ospitato) le reliquie di famosi uomini della Cristianità: un cammino di conoscenza per il curioso, un cammino di fede per il religioso.

Quando scendean nel fior, di banco in banco
porgevan de la pace e de l’ardore
ch’elli acquistavan ventilando il fianco.

Commedia (Paradiso, Canto XXXI) – Dante

– di Giovanni Santostefano

BIBLIOGRAFIA E APPROFONDIMENTI

F. Catullo – Tesori Ignorati
C. Savastano – Due Chiese e un borgo
Padre Domenico di Sant’Eusanio – L’Abruzzo Aquilano Santo
F. Francisci Gonzaga – De Origine Seraphicae Religionis Francescanae
F. Francesco da Montesarchio – Cronistoria della riformata provincia di S. Angiolo in Puglia
G. Ciarlanti – Memorie Istoriche del Sannio