Il Ballo del Crapone si teneva durante la festa del mais (detta della scugnata ): era un ballo inatteso, violento, orgiastico e non si dimenticava mai.

In seguito, chi lo raccontava con enfasi, vantava di avervi partecipato e dei ruoli che in esso aveva assunto. La scugnata (da scugnare, togliere la cogna ovvero sbucciare ) si svolgeva in una sala grande della casa o in un fondaco, o ancora in una masseria in campagna.

Vi partecipavano tutti: famiglie amiche, parenti, compari o semplici conoscenti; era un modo per stare insieme, aiutare e passare la serata in allegria.

Per ragazze e giovinotti era il modo per incontrarsi, conoscersi e stare assieme. Si trattava di un avvenimento sentito ed importante, una ricorrenza attesa con grande interesse. Finito il lavoro della scugnata, fino all’ultima pannocchia (mazzocca o mazzafurro) ci si preparava freneticamente per la festa tanto agognata. Si liberava la sala: le trecce di mais (scerte) andavano appese fuori ad adornare i balconi e la quantità mostrava la ricchezza del raccolto; le foglie di mais (re frusce), messe nei sacchi, si portavano fuori casa; si spazzolava, si ramazzava, insomma si puliva la sala; tutti i convenuti si sedevano, si collocavano intorno alla stanza e si dava così inizio alla festa vera e propria, dove si mangiava, si suonava, si ballava e ci si divertiva tutti insieme: bambini, ragazzi e ragazze, uomini e donne, giovani e vecchi. Quel modo di far festa era espressione di vita sana, gioia, amore, rispetto e amicizia vera.

Tutti accettavano le pietanze che venivano loro offerte in cestini e vassoi; vi erano dolci, panini imbottiti con formaggio, prosciutto, scamorza o caciocavallo e un caldaio pieno di pannocchie cotte all’acqua e pannocchie “al latte” (si dice di una pannocchia fresca e morbida) arrostite alla brace del camino. Per rallegrare ulteriormente la serata non potevano poi mancare musiche, balli, canti e stornelli della tradizione popolare; suonavano fisarmoniche, chitarre, mandolini, tamburi e pifferi.

Dopo aver mangiato e bevuto, rimpinzati di leccornie e sfiancati dal ballare all’impazzata, ad un certo punto, senza preavviso, un poco alla volta, i giovanotti scomparivano, uscendo dalla sala senza salutare nessuno. Restavano bambini, giovanette, donne e anziani. La festa sembrava giungere al termine!

Ad un tratto però la sala piombava nel buio assoluto, attenuato solo dagli sprazzi di luce emessi dalle fioche fiammelle del camino acceso e contemporaneamente giungeva un frastuono indiavolato accompagnato da grida orrende. Attraverso la porta spalancata ed illuminata dalla luce della luna, irrompeva quindi una frotta di giovani scalmanati, tutti con vestiti neri e facce tinte di fuliggine e, ballando in circolo, cingevano una figura nera orrenda: il viso illuminato dalla lanterna e sul capo due grosse corna ritorte di crapone. Un viso orrendo, rosso paonazzo, ghigno beffardo, occhi grandi di bue iniettati di sangue, barba rossa ispida, sopracciglia folte e lunghe, arruffate, basette e capelli lunghi, baffi ispidi e attorcigliati, emetteva versi inumani, muggiti, grugniti, grida orripilanti, ululati, parole sconnesse e, ballando goffamente, zoppicando e saltellando si spostava ferino nella sala.

disegno di Raffaele Buzzelli

Dopo aver scartato uno, due giovani a spallate e dando botte col finto braccio destro (che era un bastone o un matterello infilato nella manica della giacca con all’estremità una mano finta, rigida e aperta) per scansarli e aprirsi un varco, si gettava sulle giovinette cercando invano di germirle e, dopo ripetuti tentativi andati a vuoto, irato e paonazzo sembrava finalmente sfiancato e stanco.

“Resta fermo, sembra placato…” i giovinastri allora lo legano con le funi e in cerchio ballano e saltellano, tirandolo di qua e di la ma, dopo un po’, il caprone sembra rinvigorirsi e scatta la furia; diviene di nuovo violento, si getta verso la mischia dei giovani, che fanno forza a trattenerlo, ma con furia sovraumana la bestia li trascina dietro di se, si apre un varco e sta per travolgere le ragazze che si ritraggono inorridite.

disegno di Raffaele Buzzelli

In mezzo al fuggi fuggi delle ragazze, appare una fanciulla luminosa, tutta vestita di bianco, calma, sorridente, dotata di celestiale fermezza, nella posa di un angelo pregante prima ed a braccia aperte poi, come per accettare, placare, accogliere e abbracciare quella furia travolgente. Il Capro è scosso dalla sorpresa, si ferma d’un tratto, scuote la testa incredulo, fulminato da questa apparizione. La fanciulla celeste, senza paura, senza tremito, con voce soave lo prega, lo rincuora, si avvicina e accarezza quel viso ferino. La bestia è placata, finalmente serena cade in ginocchio e, accostandosi ai piedi della misteriosa fanciulla, si lascia andare ad un riposo sereno e pacifico.

— testo e disegni di Raffaele Buzzelli