Una notte, ad un boscaiolo, apparve in sonno il nonno morto da poco. Il nonnetto lo salutò e poi gli disse: “Va all’Arazzecca, che conosci bene, e lì troverai un grande tesoro. Sali presso la cima con un sacco e una zappa, vedrai un albero con una grossa pietra ai suoi piedi. Scava lì sotto e troverai una gallina d’oro e tanti pulcini dorati anch’essi”.


Il boscaiolo si svegliò con ancora le parole del nonno ben impresse nella mente e si alzò che era ancora l’alba per incamminarsi verso la cima del monte, tutto felice per l’auspicio che aveva ricevuto. Solo un particolare lo impensieriva un pochino. Prima che lo spirito del nonno si congedasse da lui nel sogno, lo aveva ammonito: “Quando prenderai il tesoro, dovrai affrettarti a riscendere a valle e per nessun motivo avrai da voltarti indietro!”

Passo dopo passo, arrancando fin su la cima, il boscaiolo trovò l’albero con la grossa pietra: quante volte si era disteso a riposare sotto di lui, per godere l’ombra e il refrigerio. Stavolta doveva invece scavare, così zappò finché metallo batté contro metallo e, estasiato, finalmente tirò fuori una grossa gallina tutta d’oro massiccio. Scavò ancora in lungo e in largo e uno dopo l’altro spuntarono i pulcini, preziosi come la chioccia.
Quando tutto il terreno sotto l’albero fu smosso, il boscaiolo decise di tornare giù con il bottino che gli avrebbe cambiato la vita ma, come ad aver disturbato il sonno di una divinità irosa, in men che non si dica, tuoni e lampi si abbatterono sul monte Arazzecca e la tempesta lo avvolse.
Un lampo colpì l’albero e il tuono spinse quasi il boscaiolo a terra. Egli si voltò, terrorizzato dalla rabbia degli elementi, e quindi riprese a correre verso il paese.

Giunse a casa stremato, fradicio e spaventato come mai gli era accaduto di essere. Ebbe la sola forza di cadere sul letto e sprofondare in un sonno profondo. Il risveglio però portò con sé ottimismo e vigore ritrovato così il boscaiolo saltò giù dal letto e prese il sacco, alzandolo con forza, ma questo gli rimbalzò in faccia, tanto era leggero.
Confuso lo scosse, poi lo aprì, lo vuotò sul pavimento e altro non cadde se non una frusciante miriade di foglie secche, come d’autunno.

Di questo racconto, ambientato a Castel di Sangro, esiste anche un’altra versione:


Un giorno, un uomo, inseguendo una gallina comparsa all’improvviso sul colle di San Giovanni (il Castello), si addentrò sempre più tra le rocce della rupe. La gallina si infilò in un anfratto e l’uomo le andò dietro sicuro di acciuffarla. L’anfratto si rivelò una grotta, piccola, ma con enorme stupore dell’uomo, piena di monete d’oro e oggetti preziosi. Fra il rilucente tesoro spiccava una gallina d’oro massiccio con i suoi pulcini. L’uomo non perse altro tempo e si affrettò a tornare in paese a prendere dei sacchi per riempirli con l’oro. Ma, tornando sul Castello non riuscì più a ritrovare la grotta misteriosa.

La gallina d’oro con i pulcini è una leggenda presente in molti paesi d’Italia, con le dovute varianti proprie di ciascun luogo. Ad esempio nella versione che si racconta a Pietrabbondante, in Molise, la chioccia coi pulcini si troverebbe celata all’interno di un lunghissimo cunicolo che collega l’area degli scavi archeologici con la sommità del monte Caraceno (FONTE ALTOSANNIO MAGAZINE).

Leggendo questa storiella, ad alcuni di voi sarà tornata alla mente la famosa “Chioccia con sette pulcini” conservata al museo del Duomo di Monza e più volte illustrata nei libri di scuola.


In argento dorato, è un oggetto che si ritiene appartenesse alla regina longobarda Teodolinda (VI/VII secolo), che fece costruire la basilica di Monza e incoraggiò la diffusione del Cristianesimo.
La leggenda della gallina d’oro potrebbe avere un punto di collegamento con la presenza longobarda nel nostro territorio.
L’Alto Sangro infatti rientrava nei confini del Ducato di Benevento, possedimento longobardo. Si deve proprio ai Longobardi la costruzione, sui resti del tempio pagano di Ercole, del monastero di Santa Maria di Cinquemiglia¹ (presso l’odierna Roccacinquemiglia). Il nostro territorio annoverò anche il passaggio, nel 662d.C., di un personaggio descritto come tanto valoroso quanto controverso: il Duca di Benevento Grimoaldo, diretto a Pavia dove era stato acclamato Re dei Longobardi dopo anni di lotte intestine. Visse anni turbolenti, sempre in lotta con i Bizantini, si avvalse di un esercito fortissimo che riuscì a respingere i Franchi. Conquistò un grande potere ma fu pronto persino a sacrificare la figlia Gisa, ostaggio dei Bizantini, a causa di una tregua da lui infranta.

L’accostamento tra chioccia e tesori non è raro: il tesoro di Pietroasele (rinvenuto in Romania) viene comunemente chiamato “La gallina dai pulcini d’oro” poiché alcuni reperti raffigurano dei volatili. Il tesoro viene fatto risalire al IV secolo ed attribuito ai Goti.

Fibule d’oro di Pietroasele


Avendo i Longobardi ed i Goti una matrice comune: entrambi i popoli infatti nacquero nei territori dell’odierna Svezia, è possibile che possedessero una simbologia simile e ancestrale.
Vi sono altri tesori avvolti più dalla leggenda: quello di Porsenna ne è un esempio. Si narra che il re etrusco Porsenna fu sepolto in un labirintico mausoleo al di sotto della città di Chiusi. La leggenda vuole che il re Porsenna vi fu sepolto insieme ad un inestimabile tesoro composto da una chioccia con cinquemila pulcini tutti d’oro massiccio.

Ma perché nei tesori ricorre così spesso il simbolo della gallina?

Essa è l’archetipo della madre protettiva, legata al simbolismo del tesoro difeso da forze soprannaturali. Non a caso in molte versioni della leggenda della chioccia d’oro l’antagonista è il diavolo in persona o spiriti malvagi come trasfigurazione dell’avidità.

Concludiamo il nostro articolo, divagando, con un aneddoto divertente che ha come protagonista Onorio, Imperatore romano a Ravenna, alla notizia della caduta della città di Roma per mano dei Visigoti.


…Procopio racconta che quando un ciambellano venne ad annunziargli la fine di Roma, l’Imperatore rispose arrabbiato: ”Che fine e fine!…Cinque minuti fa beccava il granturco nel palmo della mia mano!…” Credeva che il ciambellano alludesse a un bellissimo esemplare di gallina faraona, cui appunto aveva dato il nome di Roma. E quando comprese che non era la gallina, ma la città che era andata in rovine, trasse un respiro di sollievo…

Tratto da Storia d’Italia di Indro Montanelli


— di Concetta Rocci e Giovanni Santostefano

Buon Carnevale!!!

BIBLIOGRAFIA E APPROFONDIMENTI

BALZANO V. – La Vita di un Comune del Reame;
BIEDERMANN H.- Simboli;
BUNSON M. E. – Dizionario Universale del Medioevo;
MONTANELLI I.- Storia d’Italia;
¹ SANTUCCI V. – Dai Sanniti di Selva del Monaco ai Benedettini di Santa Maria di Cinquemiglia.

Ringraziamo Raffaele Buzzelli per averci tramandato la storia della gallina d’oro sull’Arazzecca.