In alcuni paesi dell’Alto Sangro e dell’area peligna, la scampagnata del lunedì successivo alla Pasqua è chiamata nel gergo locale: passar l’acqua.

Questa espressione è comune, ad esempio, a Castel di Sangro, Roccaraso, Pescocostanzo, Pettorano sul Gizio, e deriva da un’antica tradizione che probabilmente affonda le proprie radici nell’epoca pagana. La scampagnata, soprattutto nel passato, veniva effettuata sempre nei pressi di un corso d’acqua, di una sorgente o una fontana. Non di rado, per raggiungere il luogo della gita era necessario attraversare il corso d’acqua. Quindi, presenza fondamentale nel rito della festa era l’acqua, intesa come elemento sacro da attraversare.

Il culto dell’acqua era comune a molti popoli antichi, in quanto essa affiora dalla profondità della Madre Terra e pertanto è strettamente legata al concetto di fecondità e prosperità. Sorgenti sacre erano oggetto di culto tra i Celti. Si pensi alla fonte termale di Bath (Inghilterra), sacra alla dea Sulis.

Alle divinità dell’acqua erano rivolte offerte votive perché si riteneva che fossero in grado di poter esaudire i desideri. L’usanza di gettare monete nelle fontane e nei pozzi deriverebbe da quest’arcaica credenza.

Alla luce di quanto detto, è evidente che il nostro rito del ‘passar l’acqua’, assume un significato diverso: passaggio di un corso d’acqua a scopo non solo purificatorio ma anche propiziatorio.

Inoltre, la parola stessa: ‘Pasqua’ ci rimanda al significato di passaggio.

Deriva dall’ebraico ‘pesah’, cioè ‘passaggio’. Inteso come il ricordo del passar oltre, dell’angelo sterminatore, davanti alle case degli ebrei segnate con il sangue d’agnello (durante la decima piaga d’Egitto). Secondo taluni, la parola ebraica ha un ulteriore significato essendo anche il ricordo del passaggio del Mar Rosso.

Per i Cristiani, la Pasqua commemora la Resurrezione di Gesù, e di conseguenza il passaggio dal peccato alla grazia, in un ciclo di purificazione e rinascita.

A Castel di Sangro, il lunedì successivo alla Pasqua, la tradizione imponeva che si effettuasse una scampagnata nella piana, in località Santa Lucia. Si era obbligati pertanto ad attraversare il fiume.

Chiesetta di Santa Lucia

La Madonna degli Eremiti era un altro luogo nel quale si effettuava la scampagnata.

Non è forse un caso che in questa località, nel folto del bosco, è presente una sorgente le cui acque sono oggetto di devozione (l’acqua della Madonna de ru Rumite).

Foto Scampagnata negli Anni ’50

Durante la gita in campagna si mangiavano i cibi di rito. Primo fra tutti, la pigna.

La pigna, dolce della tradizione castellana, è una grande ciambella realizzata con semplici ingredienti: farina, uova, zucchero, semi di anice. Nel passato si decorava con uova incastonate, oggi si preferisce semplicemente spennellare sulla sua superficie dell’uovo battuto.

La pigna classica del forno Ciarlante di Castel di Sangro

Viene preparata non solo nel periodo pasquale ma anche per la Pasqua delle rose (Pentecoste) che prende il nome da un antico e affascinante rito durante il quale si faceva scendere dalla volta delle chiese una pioggia di petali di rosa, a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli riuniti nel cenacolo.

Il simbolismo dell’uovo incastonato (fertilità e rinascita), era presente anche in un altro dolce pasquale che veniva ricavato utilizzando lo stesso impasto della pigna: la pupa che veniva regalata alle bambine, il cavallo o il caccialepre (borsa utilizzata per la caccia)che veniva regalato ai bambini.

Questo dolce, con le sue varianti, si faceva non solo a Castel di Sangro ma in molti altri paesi d’Abruzzo. Ad Ari, ad esempio, i fidanzati donavano alle fidanzate le pupe, dopo che esse avevano fatto pervenire loro “castelli” contenenti fino a 100 uova.

Un sentito ringraziamento va ai fornai e pasticceri che ci hanno fornito informazioni utili e concesso l’utilizzo delle immagini dei loro prodotti artigianali per la realizzazione di questo articolo: Andrea e Mario Ciarlante per la “pigna”; Olga e Pasquale Riccio per la “pupa” e il “caccialepre”.

— Testo di Concetta Rocci